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Nel corso di un periodo critico avvenuto
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durante la prima metà del 20o secolo, un
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evento straordinario colpì uno dei più
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profondi pensatori del mondo moderno,
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Carl Gustav Jung. Era un momento di
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grande vulnerabilità fisica quando il
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suo cuore si arrestò in seguito a un
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grave infarto. Quel periodo che in
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termini clinici fu breve, pochi minuti
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senza battito, si rivelò invece, dal
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punto di vista della coscienza, una
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soglia aperta
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sull'ignoto. Non fu il buio ad
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accoglierlo, ma una chiarezza
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inaspettata e abbagliante. Raccontò di
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essersi trovato al di fuori del corpo
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fisico, in uno stato di coscienza
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dilatata. dove lo spazio e il tempo,
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come li conosciamo, sembravano privi di
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significato. In quella condizione
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osservò la Terra da una distanza
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inimmaginabile, come se fosse sospeso
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nel vuoto cosmico. E ciò che vide non fu
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il pianeta familiare in cui aveva
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vissuto, ma una sfera luminosa, azzurra,
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vibrante, simile a un gioiello pulsante
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di vita, fluttuante nel silenzio
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dell'universo. Ma ciò che lo colpì non
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fu soltanto quella visione esterna, fu
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la sensazione interiore di trovarsi in
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uno spazio sacro, non costruito con
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materia o parole, ma formato da luce
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viva, un luogo privo di tempo, privo di
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confini, dove tutto ciò che credeva di
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sapere sulla coscienza si dissolse,
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lasciando emergere un'essenza più
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profonda, più autentica, oltre il
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pensiero, oltre la memoria, oltre
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l'identità personale. In quello stato
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disincarnato non incontrò figure
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mitologiche né visioni riconducibili
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alle religioni tradizionali. Non vi
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erano angeli né profeti. C'era però una
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presenza, qualcosa che non aveva volto
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né voce, ma che comunicava direttamente
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alla coscienza, trasmettendo
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comprensione anziché concetti, verità
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anziché parole. In quell'istante Jung
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percepì ciò che aveva sfiorato solo in
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parte durante i suoi lunghi anni di
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esplorazione dell'inconscio, la realtà
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dell'anima, intesa non come simbolo o
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metafora, ma come una dimensione
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concreta vissuta e comprese più
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chiaramente che mai che ciò che noi
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chiamiamo morte non rappresenta la fine,
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ma una soglia, un passaggio, una
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trasformazione. Poco prima di essere
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richiamato nel corpo gli fu mostrata una
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visione che non riguardava la sua vita
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passata, come spesso si racconta nei
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resoconti delle esperienze di premorte.
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non vide episodi della sua esistenza
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scorrere davanti agli occhi, bensì uno
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scorcio del futuro, non del suo futuro
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personale, ma del futuro collettivo
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dell'umanità nel suo insieme, vide un
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tempo a venire in cui il confine tra la
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vita e la morte si sarebbe fatto
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sottile, quasi
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trasparente. Un'epoca in cui gli esseri
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umani avrebbero cominciato a sentire di
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più, a percepire ciò che oggi resta
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velato. Non si trattava di un
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simbolismo, ma di una condizione reale
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in cui il dolore, la confusione e
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persino la morte stessa sarebbero
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divenuti traslucidi, quasi privi di
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sostanza. Ma ciò che inizialmente
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appariva come una visione luminosa e
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salvifica si rivelò anche portatrice di
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un monitor. Jung intuì che in quel
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futuro, dove ogni cosa sarebbe stata
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esposta alla luce, mancava qualcosa di
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fondamentale, l'ombra. Dove non c'è
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ombra, non c'è profondità.
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Dove non esiste più il dolore, viene
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meno la possibilità stessa di crescere,
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di
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trasformarsi. Scrisse che in assenza di
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sofferenza l'anima perde il proprio
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peso, il proprio centro di gravità. Non
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si trattava di esaltare la sofferenza,
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ma di riconoscere che è proprio
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attraverso la tensione tra luce e
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oscurità che l'anima può evolversi.
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Senza notte non può esserci aurora,
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senza oscurità non si può percepire la
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luce. In quello spazio fuori dal tempo,
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gli fu concessa la possibilità di porre
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una sola domanda e lui, guidato da ciò
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che aveva cercato per tutta la vita,
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scelse di chiedere che cos'è la verità.
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La risposta non gli arrivò in forma
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verbale, ma attraverso un'immagine
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potente e simbolica, un albero. Le sue
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radici affondavano nelle profondità più
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oscure della Terra, mentre la chioma
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ardeva avvolta da fiamme che non
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bruciavano ma
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illuminavano. In quell'albero vide la
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risposta: "La verità non è qualcosa da
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possedere, ma da attraversare. È ciò che
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nasce quando si accetta di scendere
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nell'ombra, quando si lascia che la
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sofferenza diventi comprensione, quando
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si permette all'ignoto di diventare
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parte della propria
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interiorità. La verità è luce
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conquistata, non
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ereditata. Tornato nel proprio corpo,
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Jung non parlò mai pubblicamente di
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questa esperienza. la racchiuse in una
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lettera personale scritta non per il
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pubblico, non per gli accademici, ma per
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un unico destinatario, un collega la cui
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identità rimase per sempre anonima. La
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lettera non venne mai pubblicata né
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citata nelle sue opere. Rimase nascosta
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per quasi otto decenni. Jung sapeva che
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il mondo del suo tempo non era pronto.
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Sapeva che quelle parole, se lette con
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occhi razionali, sarebbero state
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fraintese, derise, ridotte a
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fantasticherie.
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Ma sapeva anche che un giorno qualcuno
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le avrebbe trovate, qualcuno capace di
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sentire non con l'intelletto, ma con
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l'intuizione. Nelle righe finali della
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sua testimonianza, Jung descrisse un
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ultimo dettaglio che per molti potrebbe
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apparire inquietante. Disse che oltre la
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luce non vi era solo pace, vi erano
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presenze, intelligenze e vigili che
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osservavano. Non le definì mai con
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termini minacciosi. Non erano demoni né
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creature infernali.
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Ma erano custodi, guardiani di un
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confine che non tutti possono
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oltrepassare. Non si poteva proseguire
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oltre, spiegò, fino a quando non si era
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pronti a diventare pienamente ciò che si
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è destinati a essere.
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Quella soglia non appartiene a chi è
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semplicemente curioso, appartiene a chi
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ha perso, a chi ha amato, a chi si è
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spezzato e ha cercato di ricomporsi, a
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chi ha guardato in faccia il vuoto e ha
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deciso di
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restare. concludeva dicendo che se
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quelle parole erano arrivate a qualcuno,
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allora quel qualcuno aveva già sentito
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il richiamo. Magari in un sogno o in un
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momento di solitudine profonda, magari
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in uno di quei silenzi in cui il mondo
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pare troppo sottile per contenere tutta
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la
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realtà. Non è una questione di fede
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scrisse, è una questione di esperienza.
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E solo l'esperienza autentica, quella
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che ci attraversa e ci cambia, è capace
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di condurci alla verità, non quella
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teorica, non quella che si discute, ma
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quella che si vive e ci trasforma nel
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profondo. E così il messaggio finale non
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riguarda ciò che accade dopo la morte,
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riguarda piuttosto ciò che accade prima.
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riguarda la vita, quella vera, quella
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vissuta pienamente, perché il punto non
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è evitare la morte, ma attraversarla
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consapevolmente e nel farlo ricordare
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chi siamo sempre stati.
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Ah.