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Ciao a tutti e benvenuti in un nuovo video di “Uno sguardo al passato”.
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Questa volta il nostro sguardo si rivolge all’Olocausto,
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il genocidio di cui fu responsabile la Germania nazista e i suoi alleati,
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pagine della storia intrise del sangue di molti, troppi innocenti.
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Ci addentriamo nell’orrore dei ghetti e dei campi di sterminio, in luoghi di terrore e di morte come Auschwitz - Birkenau,
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Dachau, Mauthausen, Flossemburg, Dora-Mittelbau, Neuengamme, Ravensbruck, Buchenwald, Theresienstadt
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ed anche l’italiana Risiera di San Sabba,
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luoghi dove milioni di ebrei, polacchi, rom, omosessuali, nemici politici tra cui partigiani ed antifascisti,
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prigionieri di guerra classificati come internati militari, in modo che fosse possibile renderli prigionieri schiavi senza alcun controllo,
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trovarono la morte nelle camere a gas, o per fame, o a causa dei lavori massacranti, o per malattia
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o, forse ancor peggio, come cavie di esperimenti medici.
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In questi luoghi di orrore, c’era la luce della speranza, della speranza di poter continuare a vivere,
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nella speranza di poter rivedere i propri cari e la speranza trovava spesso come via quella della musica.
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La musica che fu scritta in questo periodo dalle vittime di questa tragedia fu una via appunto di speranza, di resistenza,
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di opposizione all’orrore ed è oggi un potente strumento di memoria.
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Per quanto possa sembrare difficile immaginare musica in quelle situazioni, la musica c’era,
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veniva eseguita e veniva anche composta, sempre e comunque, nonostante tutto.
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A volte per scelta, altre volte però per costrizione.
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Sono moltissime le testimonianze in merito dei sopravvissuti.
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Se vi state chiedendo quale genere di musica fosse eseguita.. beh, ogni genere,
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dalla musica classica, alle canzonette da cabaret, dalla musica sacra a quelle di tradizione popolare.
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Nei ghetti la musica composta ed eseguita volontariamente era un modo di rimanere ancorati all’umanità,
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al ricordo di un passato in cui esistevano ancora dei principi morali, un’àncora per non cadere nella totale disperazione e rimanere aggrappati alla speranza.
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Nel ghetto di Theresienstadt, ovvero l’anticamera di Auschwitz, i bambini potevano frequentare delle lezioni,
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al fine di ricreare per loro un ambiente che richiamasse il più possibile una sorta di normalità,
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e a questi bambini fu dedicata l’opera “Brundibar” del compositore Hans Krása,
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opera che fu composta a Praga nel 1938 ma che ebbe la sua prima rappresentazione a Terezìn il 23 settembre del 1943 sotto la direzione di Rafael Schächter.
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Quest’opera prevedeva la partecipazione attiva di molti bambini del ghetto.
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L’opera fu replicata molte volte, in diversi luoghi del ghetto, ma questo non salvò purtroppo il compositore,
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che fu prima internato a Terezìn nell’agosto del ’42 e trasferito poi ad Auschwitz, dove venne ucciso il 18 ottobre del ’44.
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Anche ai bambini non toccò purtroppo sorte migliore, visto che degli oltre 15000 bambini nel ghetto a guerra conclusa ne rimanevano ancora in vita 1800.
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In questo ghetto era in funzione la Freizeitgestaltung, ovvero l’organizzazione per il tempo libero,
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che promuoveva concerti, spettacoli teatrali e di cabaret con tanto di scenografie.
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Venivano rappresentati balletti e opere liriche, tra cui “La sposa venduta”, “Il matrimonio segreto”, “Il pipistrello”.
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Un episodio tra i più agghiaccianti fu l’esecuzione del “Requiem” di Verdi.
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Questo Requiem era particolarmente apprezzato dai carcerieri del ghetto e ne ordinarono l’esecuzione per il 6 settembre del 1943.
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Il coro di 150 persone all’indomani dell’esecuzione venne deportato ad Auschwitz.
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Venne formato un altro coro per un’altra esecuzione ed anche questo coro fu deportato poi ad Auschwitz.
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Con somma fatica si riunì un terzo coro, composto solamente da una sessantina di coristi che riuscì ad esibirsi 15 volte.
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A Terezìn vi era addirittura una band di musica jazz che veniva chiamata “The Ghetto Swingers”.
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Il jazz era considerato un genere degenerato per il reich per la sua tendenza anticonformista,
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il fatto che in questo genere vi fossero delle dissonanze lo etichettava come un genere ribelle.
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Queste teorie erano state avvallate da un saggio di Richard Wagner: “Il giudaismo nella musica”, pubblicato molto prima,
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nel 1850, e che già nella sua epoca voleva contrappore la musica “tedesca” alla musica “ebraica”.
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Wagner fu un convinto antisemita, un precursore del nazismo che in questo testo inneggiava alla superiorità della razza ariana anche nella musica.
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Un libro che fu usato ben presto dalla propaganda nazista.
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Ma la musica non conosce confini, nazionalità, limitazioni o presunte superiorità, neanche se ideate da Richard Wagner.
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Molti musicisti si ribellarono, reagirono all’oppressione, non solo musicisti ebrei, ma di ogni nazionalità,
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tra cui anche musicisti tedeschi, come Hanns Eisler e Kurt Weill.
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Molti i nomi che vi si affiancano, Schönberg, Hindemith, Křenek, Haas, Ulmann,
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musicisti che vennero fortemente attaccati per la loro opposizione, con il rischio di finire imprigionati anch’essi quali oppositori del regime.
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Molti altri emigrarono negli Stati Uniti nella speranza di riuscire a scappare alla persecuzione, come Rubinstein e Castelnuovo-Tedesco,
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continuando però a dar voce con la loro arte alle sofferenze delle vittime dell’Olocausto.
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Ma c’era chi quell’orrore non lo viveva a distanza, bensì sulla propria pelle.
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Nei ghetti veniva eseguita una musica “ufficiale”, che nulla aveva a che fare con la libertà di espressione,
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era musica “a comando” che orchestre e bande eseguivano per le autorità naziste.
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Ma a questa musica “forzata” si opponeva la musica clandestina, la musica di resistenza,
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i canti dei deportati, i canti dei ghetti.
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Queste opere erano una sorta di testamento dei compositori e musicisti per le generazioni future.
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Capivano l’enorme importanza del trasmettere le loro testimonianze e nascondevano in ogni modo possibile le loro opere,
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in modo che non andassero distrutte durante la deportazione.
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Opere che narrano l’orrore che stavano vivendo, opere messe in nascondigli di fortuna o affidate alla memoria di chi è sopravvissuto e che potè ancora diffonderle.
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Tra i milioni di deportati vi erano moltissimi musicisti e compositori.
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Molti di loro erano costretti ad eseguire musica nelle orchestre dei vari campi, per intrattenere i nazisti.
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I musicisti internati nei lager nazisti furono più di 1600.
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...e così dalla musica nei ghetti passiamo ora alla musica nei lager.
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Qui è doveroso fare una piccola premessa.
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La propaganda nazista fece largo, anzi, larghissimo uso della musica, usata come mezzo di diffusione del manifesto nazista.
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Lo stesso percorso di formazione militare tedesco includeva canzoni di propaganda che inneggiavano alla tradizione tedesca e all’identità ariana.
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I soldati tedeschi erano abituati ad ascoltare continuamente musica e continuarono questa abitudine anche quando assegnati ai lager.
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La musica scandiva così i vari momenti della giornata: la partenza al lavoro, il ritorno al campo, le chiamate per l’appello, le punizioni e.. anche le esecuzioni.
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Ecco una testimonianza di Simon Laks, compositore e violinista, nel suo libro "Mélodies d’Auschwitz":
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“Per i musicisti hanno sistemato delle panche nell’area dei crematori. Non ci sono leggii, dovremo suonare a memoria […].
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Suoneremo per persone che ben presto saranno bruciate; ma da chi? È un mistero. Forse proprio da noi?
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Le autorità impongono ai musicisti tanti lavori che non hanno nulla a che fare con la musica […].
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Il concerto durerà all’incirca due ore. Il programma prevede anche delle melodie ebraiche.”
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Possono gli uomini che sono in grado di piangere ascoltando la musica essere in grado di commettere così tanta crudeltà verso il resto dell'umanità?
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Strumenti musicali sottratti ai deportati vennero così recuperati e talvolta riparati al fine di formare nei lager delle vere e proprie orchestre,
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esistenza che è stata accertata in almeno 21 dei campi principali.
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Musicisti spesso costretti a suonare ogni giorno, per intrattenere i loro stessi aguzzini,
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oppure detenuti che non erano nemmeno dei musicisti ma che erano costretti ad imparare marce da cantare ad alta voce,
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a cantare canti popolari tedeschi durante i lavori forzati.. cantati da prigionieri stremati e debilitati dalla fame.
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Ma non vi era scelta.
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Chi non conosceva la canzone veniva picchiato.
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Chi cantava troppo piano veniva picchiato.
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Chi cantava troppo forte veniva picchiato.
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Ogni lager ha una sua terribile storia a riguardo.
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A Buchenwald un gruppo di prigionieri vennero costretti a cantare in coro per coprire con le loro voci una fucilazione di massa di prigionieri russi.
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A Mauthausen un condannato a morte venne accompagnato al patibolo da una piccola orchestra.
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Anche un altro prigioniero, Hans Bonarewitz fu condannato a morte e accompagnato durante la sua esecuzione dal brano “Aspetterò sempre il tuo ritorno”.
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Qui anche Joseph Drexel fu costretto a cantare l’inno sacro ”O Haupt voll Blut und Wunden”, ovvero “Sangue e ferite di Gesù”,
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mentre veniva frustato fino a perdere i sensi.
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Nel campo di concentramento di Esterwegen, dove c'era anche un coro del campo, fu fondata l'orchestra del campo, nel 1935.
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Un gruppo musicale di sedici membri, che provava nella capanna numero 12.
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Tenevano molti concerti che servivano però a coprire esecuzioni e pestaggi, ma fu anche utilizzata come propaganda.
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Se circolavano foto di concerti nei lager forse nessuno si sarebbe accorto delle atrocità che invece vi venivano commesse.
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Così vi erano concerti in occasione del compleanno di Hitler, o per capodanno o per qualsiasi momento di festa nazista.
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Ad Auschwitz per gli stessi scopi era presente un’orchestra sinfonica di 80 elementi,
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a Treblinka era invece di 3 elementi: mandolino, violino e uno strumento a fiato,
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a Birkenau avevano invece un’orchestra femminile.
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I musicisti di queste orchestre e cori potevano avere talvolta delle condizioni meno dure,
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o perlomeno potevano sperare divivere più a lungo, ma non per rispetto o altro, solo per la loro utilità.
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Terminata l’utilità… terminava tutto.
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Qui, la musica, che è un veicolo di sentimenti e di emozioni umane, venne stravolta nella sua stessa essenza,
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trasformata in una disarmonia sconvolgente, divenne un mezzo grottesco di disumanità, una strumentalizzazione diabolica per infondere regole e terrore.
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Canti tedeschi ripetuti ancora e ancora, fino allo sfinimento.
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Terrore, in cui i detenuti comunisti erano costretti a cantare l’inno nazionale mentre scavavano la loro stessa fossa
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o prigionieri ebrei che erano costretti a cantare salmi mentre venivano crudelmente picchiati.
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Questo oltre a l’inno nazionale tedesco che riecheggiava da radio e grammofoni agli altoparlanti dei campi,
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al volume più alto possibile, quale simbolo della supremazia ariana e per stremare corpo e spirito dei prigionieri.
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Sì, anche il corpo, poiché non si disdegnava di diffonderla anche la notte,
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così oltre che stremati dalla fame e dai lavori forzati, i prigionieri non potessero trovare conforto nemmeno nel sonno.
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Anche i compositori imprigionati venivano costretti a scrivere musica che spesso denigrasse la loro stessa origine,
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come il “Judenlied”, canzone composta appunto da un prigioniero a Buchenwald,
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canzone che narra di come gli ebrei abbiano ingannato, mentito, imbrogliato per denaro.
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Ma anche qui, alla musica forzata, si oppose il canto libero.
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Si, il canto come unico strumento musicale che non poteva essere tolto, dove ninne nanne per bimbi, inni religiosi,
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canti yiddish e canti derisori al nazismo dimostrano quanto la musica non avesse perso per gli imprigionati il suo valore di speranza e di aggregazione.
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Inizialmente non era proibito cantare, erano proibiti però determinati canti tra cui molti nazionalistici non tedeschi.
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Ma la musica e il canto spontaneo vennero via via sempre più osteggiati,
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però… continuavano, seppur flebili, ad esserci, presenti perfino nell’ultimo momento nelle camere a gas
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ed ognuno si esprimeva con i suoi canti, i canti della propria terra, a ricordo di un’umanità che si disgregava giorno dopo giorno.
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Ecco alcuni dei musicisti:
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“Quatuor pour la fin du temps”, "Quartetto per la fine dei tempi", è una struggente composizione di Olivier Messiaen,
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ed evoca tutto il dolore e lo strazio vissuti dal musicista francese nel campo di concentramento di Görlitz, in Polonia.
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Questa composizione è valutata oggi come una delle più rilevanti composizioni cameristiche del ‘900
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e considerando dov’è stata composta e che lì ebbe anche la sua prima esecuzione, trasmette ancor di più il forte valore emozionale e simbolico.
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Gregor Schwake compose nel settembre del ’44 la "Dachauer Messe" e un "Ostertrio" ovvero "Trio pasquale" nel marzo del ‘45
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per violino, viola e violoncello.
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Era un "privilegio" il poter comporre ed eseguire ufficialmente della musica, che veniva concesso solo molto raramente a membri di altri gruppi religiosi come ebrei o testimoni di Geova.
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Un’altra musicista giunse giovanissima ad Auschwitz: Esther Béjarano.
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La giovane, proveniva da una famiglia ebrea di musicisti, famiglia che fu sterminata dai nazisti: padre, madre e sorella.
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Lei fu deportata ad Auschwitz.
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Musicista e cantante, fu assegnata all’orchestra del campo di sterminio, un’orchestra che aveva il compito di suonare in momenti particolari,
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e fu poi trasferita a Ravensbrück e assegnata a lavori manuali.
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Dopo la liberazione andò in Palestina e lì proseguì il suo cammino musicale come cantante e insegnante di musica.
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Desiderando perpetrare il ricordo, fondò negli anni ’60 ad Amburgo l’Auschwitz Komitee Deutschland,
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proponendo musica che comprendeva canti yiddish della tradizione e canti della Resistenza.
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Tra questi canti vi era un famoso canto dei Sinti e Rom che intonava:
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“Non mi svegliare,
non voglio capire il mondo.
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Non voglio vedere i tormenti del mio popolo.
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Ragazza mia pensa solo ai bei tempi
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e non guardare come veniamo trattati”
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Victor Ullmann
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Compositore, pianista e direttore d’opera, allievo di Schönberg.
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Deportato a Terezìn potè continuare a comporre e scrisse in quel periodo “L’imperatore di Atlantide”.
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I nazisti però non gli permisero di mettere in scena l'opera, per evitare possibili accostamenti con l’imperatore rappresentato nell’opera e Adolph Hitler.
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Morì nella camera a gas di Birkenau.
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Julius Rosenbaum detto anche Willy Rosen, nato in Germania fu deportato ad Auschwitz nel ’44, dove morì.
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Lui era un cantante che aveva ottenuto un buon successo popolare
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e durante la detenzione nel campo creò assieme ad altri amici musicisti quello che definì “Il miglior cabaret in Olanda”.
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Germaine Tillion che nel campo femminile di Ravensbrück scrisse un poema musicale, con versi e melodie.
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Carlo Sigmund Taube era un compositore, allievo di Busoni. Fu deportato a Terezìn nel ’41 assieme alla sua famiglia.
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Continuò a scrivere musica e ad esibirsi, scrisse la “Terezìn Symphony” ma fu poi deportato ad Auschwitz assieme alla moglie e al figlio,
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dove purtroppo nessuno di loro si salvò.
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Ilse Weber, cecoslovacca, amava la poesia e le fiabe che era riuscita a pubblicare nel ’33.
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Deportata a Terezìn a 39 anni diventò infermiera nel campo, dove con le sue storie e con i suoi canti alleviava le sofferenze dei bambini e degli ammalati,
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melodie che intonava solo con la sua voce o accompagnandosi delle volte con una chitarra.
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Un giorno, i bambini di cui Ilse si era presa cura, furono messi sul treno per Auschwitz.
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Lei decise di salire su quel treno volontariamente. Non voleva lasciare da soli i suoi bambini.
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Chiese così ad un altro detenuto del campo se era vero che all’arrivo fosse possibile fare la doccia.
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Il detenuto non riuscì a mentirle, e le disse che non erano docce, bensì camere a gas.
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Le disse di tenere per mano i suoi bambini ed entrare con loro cantando.
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Di sedersi a terra e continuare a cantare, in modo da inalare il gas più velocemente e morire subito.
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Altrimenti sarebbero stati forse schiacciati dagli altri, che quando accortisi di essere in una camera a gas sarebbero stati colti dal panico.
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I bambini ed Ilse scesero dal treno e cantarono quella ninna nanna che Ilse gli aveva insegnato, quella che cantavano sempre…
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e morirono così, cantando.
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Il marito di Ilse, raccolse i suoi canti e li seppellì, nella speranza di poterli conservare prima di essere trasferito anche lui. Lui però sopravvisse e li pubblicò nel ’91.
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Liebeskind aveva 24 anni e trasportava cadaveri a Treblinka dove vennero uccisi e cremati
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anche la moglie Edith e il loro piccolo bimbo di 3 anni.
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Impazzito dal dolore, assieme a Alexander Wertynski scrisse nel ’42 la “Ninna nanna del crematorio”.
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ed assieme a questi musicisti ce ne furono molti, molti, molti altri.
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Terminata la guerra, vi fu chi, come David Botwinik e Aleksander Kulisievicz, cercò di raccogliere e ricostruire i brani perduti.
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Ci sono degli istituti di ricerca, tra cui lo “Yad Vashem” e lo “United States Holocaust Memorial Museum” che conservano ampie raccolte musicali riguardanti l'Olocausto.
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Molti compositori nel dopoguerra dedicarono le loro opere alle vittime dell’olocausto,
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al fine di promuovere la memoria di quanto accaduto e inneggiare alla pace dei popoli.
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Molti musicisti che riuscirono a salvarsi ebbero però dei traumi psicologici così grandi,
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dopo la continua associazione della musica a torture, esecuzioni e pestaggi che abbandonarono per sempre la musica.
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Il ricordo di una musica che erano costretti a suonare anche durante gli omicidi di massa nelle camere a gas… era insopportabile.
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Francesco Lotoro, pianista e compositore italiano che da oltre trent’anni prosegue la ricerca della musica che fu composta nei campi di prigionia e nei campi di concentramento,
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ha eseguito un enorme lavoro di analisi e di archiviazione di questa musica, nella speranza che possa ritrovare voce
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anche solo una volta, quella volta che
gli permetta di uscire dal lager in cui è nata e narrare la sua storia.
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Parliamo di musica composta tra il 1933, anno di costruzione dei lager, e il 1953, anno di liberazione degli ultimi prigionieri di guerra che si trovavano nei campi sovietici.
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Questo lavoro di archiviazione è un lavoro senz’altro immenso, in quanto l’archiviazione riguarda ogni pezzo musicale scritto in quel periodo da qualsiasi deportato al mondo,
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si parla di oltre 4000 composizioni dai lager e 12000 documenti provenienti da i deportati in tutto il mondo, da compositori di ogni nazionalità.
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La musica composta ed eseguita durante l’olocausto ci porta il dolore, la tragedia e la speranza di quanti vissero quell’orrore.
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Sono testimonianza di una produzione musicale e allo stesso tempo di una musica mancata, quella che sarebbe potuta essere, ma che è stata interrotta da tante morti precoci,
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musica che è stata costretta a tacere e che mai si potrà ascoltare.
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Non possiamo riscrivere la storia, non possiamo riavvolgere il filo del tempo e modificare quanto è accaduto.
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Però possiamo ricordare, anzi, dobbiamo ricordare, ricordare perché non accada ancora.
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Un grazie Phoenix mirko, iscritto al canale che mi ha suggerito questo video.
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