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Il mio sogno era diventare medico, ma visto che non posso più farlo,
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lavoro nelle fabbriche di vestiti per pagare gli studi
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a mia sorella e farla diventare un medico.
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C’è un caldo infernale. Devono lavorare tutti i giorni
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in queste condizioni, senza poter andare a scuola,
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senza poter avere in mente un futuro, un sogno diverso da questo.
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Loro lavorano senza nessun tipo di protezione, a piedi scalzi.
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immersi in questo... in questo liquido estremamente tossico.
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Lavoro lì fino alle 22 di sera. Spesso vado a dormire all'1 o alle 2 di notte.
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La mamma si arrabbia perché da quando lavoro nella fabbrica, non riesco più a dormire bene.
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Qua non ci vogliono far avvicinare.
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Ci stanno sempre portando da questo lato e quindi
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già vi dico che dall'altra parte ci sono
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dei bambini che lavorano in questa struttura, sui vestiti che arrivano nei nostri negozi
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e che spesso indossiamo anche noi.
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Il mio nome è Giuseppe
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e ho una missione
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girare il mondo per incontrare i personaggi più straordinari del pianeta
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e fargli una semplice domanda Cos'è per te la felicità?
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Benvenuti nel PROGETTO HAPPINESS.
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Esattamente da fabbriche
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come questa,
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che molto probabilmente proviene la maglietta che stai indossando
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in questo momento, e meno le abbiamo pagate e più il prezzo umano è stato altissimo.
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Perché come vedete, gli operai attorno a me sono prevalentemente bambini.
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L'obiettivo di questa missione, qui a Dacca, capitale del Bangladesh, è scoprire
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chi produce i vestiti che arrivano molto spesso in Occidente, comprendere
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in che condizioni lavorano e scoprire come posso aiutare questi bambini.
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Ma facciamo un passo indietro.
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Un tempo la moda era sinonimo di esclusività e lusso, ma alla fine del XX secolo
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una combinazione tra innovazione tecnologica, cambiamenti culturali e globalizzazione
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stravolge tutto.
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La produzione di vestiti diventa una corsa sfrenata verso la rapidità
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e l'efficienza economica.
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Le aziende iniziano letteralmente a bombardare il mercato con nuovi capi,
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generando tendenze sempre più rapide, seguite da sempre più persone che desiderano
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vestirsi all'ultima moda per esprimere chi sono o chi vorrebbero essere.
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Nasce così il fast fashion ed è proprio a questo punto che un paese in particolare
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promette di poter saziare la brama di vestiti trend and chip dell'Occidente:
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Il Bangladesh,
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che per soddisfare una richiesta mastodontica mondiale di vestiti, concentra
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tutti gli sforzi produttivi di una nazione praticamente solo sull'industria tessile,
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ma a un prezzo troppo alto che pagano però solo gli operai. Donne, uomini, bambini ormai
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diventati i nuovi schiavi del XXI secolo e l'ambiente avvelenato da rifiuti chimici
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rilasciati dalle industrie senza scrupoli, avvelenando lentamente la terra e l'acqua.
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Non ho mai visto niente del genere in tutta la mia vita
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Il nostro viaggio all’origine del Fast Fashion inizia proprio da qui, davanti al letto del fiume Buriganga,
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o quello che ne rimane, perché oggi è diventato uno dei fiumi più inquinanti e tossici al mondo,
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Proprio a causa del Fast Fashion.
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Pensate che il governo del Bangladesh stima che ogni giorno nelle sue acque vengano
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rilasciati circa 21.000 metri cubi di acque reflue industriali non trattate.
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Infatti, proprio i residenti della baraccopoli soffrono di malattie
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gravissime della pelle, intestinali e respiratorie.
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Proprio a causa di questo inquinamento devastante.
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La città di Dacca conta più di 5000 baraccopoli abitate da
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circa 4 milioni di persone.
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L'impatto dell'inquinamento
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generato dalle industrie tessili è devastante nella vita di queste persone.
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Sono tutti molto curiosi qui di vedermi
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dentro questa comunità ci troviamo a Korail Bosti
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che è una delle baraccopoli più grandi di tutto il paese.
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In realtà ce ne sono tantissime come questa, perché dagli anni 90 al 2000
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la città di Dhaka soprattutto,
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si è trasformata, o meglio si è deformata perché sono nate,
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si sono costruite delle baraccopoli, delle città fatiscenti
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per gli operai milioni milioni di persone si sono riversate in città per rispondere.
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alla domanda sempre maggiore. Di vestiti, vestiti, vestiti.
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Vestiti che l'Occidente richiedeva, ovvero il fast fashion.
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Questi operai oggi vivono in case fatiscenti come come queste case case di lamiera
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dove la sicurezza e la sanità sono veramente una chimera.
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Non è difficile trovare le fabbriche nella baraccopoli, sono dappertutto
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ma c'è un'area in particolare, ovvero quella delle concerie,
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che ha il triste primato per essere tra i posti più tossici del pianeta,
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per lavorare quelle pelli che poi verranno esportate in diversi paesi d'Europa,
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tra cui soprattutto l'Italia.
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Si calcola che concerie come questa rilascino nelle falde della città circa 6000
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metri cubici di sostanze tossiche e dieci tonnellate di rifiuti solidi al giorno.
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Sono tutti operai che lavorano senza nessun tipo di protezione,
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piedi scalzi immersi in questo, in questo liquido estremamente tossico
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perchè infatti proviene da queste lavatrici dietro di me
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che vengono riempite dalla pelle grezza
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e per 24 ore vengono fatte andare con all'interno polvere di calce e solfito di sodio
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per rendere la pelle più morbida e prepararla allo step successivo.
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Lo step finale prima della... della vendita.
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Soltanto che questo processo è estremamente tossico.
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Infatti noi siamo qui dentro da mezz'oretta e già sento,
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sento come se mi mancasse il respiro, come se avessi mal di testa.
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Non credo mi stia facendo condizionare, perché in realtà
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queste persone si ammalano molto facilmente, molto velocemente.
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Questa è una delle condizioni di lavoro estreme disumane.
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Non ho mai visto niente del genere e pensare che queste persone sono cresciute qua dentro.
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Ci lavorano da sempre.
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Più mettiamo dentro questa polvere più da il colore alla pelle.
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Così esce un prodotto migliore da vendere.
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Esatto! Se ne metti meno si vede meno il colore..
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Anche se non voglio, devo farlo per sopravvivere.
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Non possiedo nulla, ecco perché sono
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costretto a lavorare. Ho una famiglia da sfamare,
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abbiamo bisogno di vivere. Da dove potrei guadagnare dei soldi se non da qui?
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Questi lavoratori e anche i bambini che non mi è stato concesso di riprendere,
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sono destinati a morire prima dei cinquant'anni
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a causa delle esalazioni di agenti chimici altamente nocivi per l'uomo.
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Per cosa?
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Per produrre una giacchetta o un paio di scarpe che poi verranno svenduti
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a pochi euro per persone che non ne hanno realmente bisogno.
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Uno dei responsabili ci sta portando al piano superiore,
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dove la pelle che abbiamo appena visto viene elaborata per diventare scarpe eleganti.
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E anche qua ci sono eh.
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Ci sono tanti bambini operai.
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Ce n'è uno che è giovanissimo dietro le mie spalle.
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Non so se lo vedete.
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Con la maglietta blu, avrà sette otto anni.
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Sono prediletti rispetto agli uomini perché hanno le mani più affusolate,
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sono più precisi e ovviamente costano pochissimo.
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Il Signore mi sta raccontando che proprio la scarpa che sta incollando adesso
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il bambino diventerà
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un mocassino che verrà venduto in Italia come Made in Italy e fatto a mano.
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Fatto a mano sì, ma è stato fatto da questo bambino, ma made in Bangladesh,
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utilizzando una manodopera infantile che viola ogni diritto umano.
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È proprio il mastice che sta utilizzando questo bambino adesso viene utilizzato
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non soltanto per incollare le scarpe, ma anche fuori da questa fabbrica come narcotico.
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Viene utilizzato soprattutto dai bambini di strada.
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I bambini che lavorano qui,
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gli operai un po più ingenui lo rubano per venderlo agli altri bambini.
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Lo usano come come droga, che però provoca dei danni irreversibili al cervello.
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Ma in questi luoghi molto spesso la realtà è più dura delle parole.
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Neanche a farlo apposta, siamo appena usciti
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dalla fabbrica in cui c'era quel bambino che stava incollando le scarpe,
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proprio qui davanti a noi c'è un bambino che sta sniffando lo stesso mastice
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che usano nella fabbrica.
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Cosa farei per un pò di riso!
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Mi fa male la gola.
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Desidero un pò di riso. Vorrei solo un pò di riso. Riso. Riso.
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Il mastice, con la sua promessa
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effimera di sollievo, è solo il sintomo di un problema molto più grande.
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È il simbolo di un sistema che tratta i bambini come pedine sacrificabili
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nel gioco del profitto.
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Sono riuscito a entrare
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nell'ordine delle migliaia e migliaia di fabbriche che ci sono a “Old Dhaka”
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la parte vecchia della capitale.
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Le condizioni sono sempre le stesse,
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estreme.
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Ci sono decine di bambini impiegati nel lavoro di riproduzione,
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soprattutto di camicie.
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In questa fabbrica normalmente a terra ci sono bambini di dieci anni
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che stanno... stanno lavorando.
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Questa è un'altra stanza.
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Anche qui
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la maggior parte degli operai sono solo bambini.
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Ciò che mi stupisce però è che siano bambini e non bambine, perché di solito
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nella produzione di abbigliamento in tessuto sono impiegate
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più le bambine perchè sono più precise, più pazienti.
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Per questa fabbrica ci sono soltanto bambini, perché mi hanno spiegato che poi le bambine rifiniscono
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tolgono tutti... tutti i fili in eccesso.
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Ti porto anche nei bagni, che probabilmente sono
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As-salamu alaykum. I ragazzi stanno lavando quindi
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li lascio tranquilli.
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Però gli stavo spiegando che dopo un turno di lavoro
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il momento più bello è farsi la doccia perché veramente ci saranno 40 gradi.
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Forse vedete anche il sudore sul mio viso, ma questo è
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mezz'ora dentro alla fabbrica, loro invece lavorando tutti i giorni in queste condizioni..
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Credo che...
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Nemmeno voi avreste mai immaginato
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che i vestiti che indossiamo vengono prodotti in queste condizioni,
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ma quello che abbiamo visto fino ad ora
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è solo un piccolo frammento del business del fast fashion per questo paese.
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Perchè per rispondere ai nostri acquisti
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compulsivi e produrre capi pensati e fatti per costare e durare poco.
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Il Bangladesh ha costruito quasi 5000 mega industrie come questa,
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dove milioni di persone, per lo più donne e bambini, lavorano all'unisono,
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diventando quasi un pezzo di queste macchine da cucire.
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Di solito queste fabbriche sono off limits per le telecamere,
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soprattutto dopo la strage di Rana Plaza avvenuta il 24 aprile 2013,
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quando un complesso simile a questo crollò uccidendo più di 1100 operai tessili.
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E quella fu la prima volta che il mondo occidentale si rendeva davvero conto
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del prezzo dei propri vestiti.
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Dopo un lungo colloquio, però, i dirigenti di questa fabbrica
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decidono di farci visitare un piano del loro stabile.
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È stato quasi un miracolo entrare in questa struttura
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perché tutti i produttori, tutti i proprietari di fabbriche tessili,
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non vogliono più far entrare giornalisti o camere nelle loro strutture.
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Perché la storia di Rana Plaza,
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il mondo, tutta l'attenzione del mondo si è riversata qui in Bangladesh.
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Non abbastanza, perché in realtà
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dall'altra parte della sala
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abbiamo notato che ci sono dei bambini ancora bambine soprattutto, che lavorano.
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Però non ci vogliono far avvicinare ci stanno sempre portando da questo lato
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e quindi questa è l'unica ala della struttura che riusciremo a documentare.
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Però già vi dico che dall'altra parte ci sono
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dei bambini che lavorano in questa struttura su vestiti che arrivano nei nostri negozi
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e che spesso indossiamo anche noi.
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La maggior parte dei lavoratori qui sono donne
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giovanissime che provengono dalle zone rurali, ovvero le zone più povere del paese.
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Infatti loro si spostano, abbandonano le loro famiglie giovanissime
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per lo stipendio più basso al mondo 0,20€ all'ora.
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Ma non sono venuto fino a qui per fare un'altra inchiesta sul fast fashion.
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Il vero obiettivo di questa missione è per certi versi più arduo
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riuscire a trovare le bambine e i bambini che lavorano in queste fabbriche
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e ascoltare le loro storie.
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Dopo giorni di ricerca, grazie all'aiuto di una signora che lavora per la comunità,
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riusciamo a incontrare Jui una meravigliosa bambina di dodici anni che da tempo ormai
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lavora nelle fabbriche per aiutare la sua famiglia.
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Ciao
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Ciao
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Mi chiamo Giuseppe.
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Mi chiamo Jui.
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Siamo arrivati a casa di... di jui
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che questa bambina comunque abbiamo... avremo il piacere di parlare.
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E... ci ha ospitati a casa sua perché ci vuole raccontare la sua storia.
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Questa in realtà è una classica casa delle... della baraccopoli di Dacca.
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Come vedete è piccolissima, mi stava già spiegando la signora che qui ci vivono
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Cioè su quel letto Jui vive con i suoi genitori, con i suoi fratellini.
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Il letto è minuscolo, però vivono tutti, dormono tutti qua.
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Mentre un'altra cosa curiosa è che hanno il frigo,
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hanno il cibo in casa, ma è condiviso con tutti, con tutti i vicini.
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E questa, questa è la cucina.
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Qui cucinano, qua conservano il cibo.
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Come vedete ci sono anche delle grate per non permettere ai topi di entrare.
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C'è un altro dettaglio molto interessante
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che mi fa capire meglio la vita di queste bambine.
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Il letto è rialzato con questi mattoni per innanzitutto
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permettere di creare una sorta di magazzino.
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Ma anche nel caso in cui ci fossero delle alluvioni, delle inondazioni,
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non essere bagnati, anzi inondati dall'acqua che entrerebbe nella casa.
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Ecco perché ci sono chiaramente le condizioni sono... sono precarie.
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Però soprattutto i lavoratori delle fabbriche qui attorno vivono in queste condizioni
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e siamo privilegiati a entrare in una di queste case ascoltare la
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storia di Jiu perché sono sicuro che sarà simile a tante altre storie di tante bambine
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e bambini che lavorano dentro queste fabbriche.
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Sono io, questa è mia sorella minore e quello è mio fratello.
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Questa sei tu? Jui?
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Questa sono io
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Ok, ok
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Chi vive qui con te?
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Io e mia sorella stiamo qui e i miei genitori dormono per terra.
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E dove sono i tuoi genitori adesso?
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Mia madre è in una fabbrica di vestiti, mentre mio padre…non so dove sia.
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Come mai non sei a scuola adesso?
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Ho dovuto abbandonare la scuola perché mia madre era piena di debiti.
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Quando frequentavo la quinta classe, ero tanto felice.
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Avevo molti amici, scherzavamo e giocavamo insieme.
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Ora però non succede più. E mi manca tanto.
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Solo per problemi di soldi,
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ho dovuto iniziare a lavorare. Mia zia mi ha consigliato di lavorare
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per poter portare a casa qualche soldo. E così, mi hanno portato in fabbrica.
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Guadagno quasi 4€ al giorno. All’inizio mi piaceva anche,
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ma ora mi sento sempre stanca perché lavoro tutto il giorno
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Per i primi 5 mesi ho resistito, ho continuato a lavorare, ma adesso mi sento sola.
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e non mi piace.
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Lavoro lì fino alle 22 di sera. Spesso vado a dormire all'1 o alle 2 di notte.
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Jui qual è il tuo sogno più grande?
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Se avessi potuto continuare a studiare,
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sarei riuscita ad aiutare i miei genitori con un buon lavoro e sarei stata indipendente.
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Avrei potuto salvare la mia famiglia. Sarebbe stato bello se fosse andata così.
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Il mio sogno era diventare medico, ma visto che non posso più farlo,
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Il mio sogno era diventare medico, ma visto che non posso più farlo,
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lavoro nelle fabbriche di vestiti per pagare gli studi
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a mia sorella e farla diventare un medico.
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Come può una bambina di dodici anni
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essere così rassegnata e consapevole che i propri sogni non si avvereranno mai?
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Non è giusto.
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Jui fa parte di quel milione di bambini a cui viene rubato il futuro
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per sfruttarli nelle fabbriche.
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Un numero così grande da farti perdere quasi le speranze che qualcosa qui
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possa mai cambiare.
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Eppure c'è qualcuno che con impegno incrollabile
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ha sempre creduto che unendo la generosità delle persone di tutto il mondo,
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si potesse ridare loro il diritto di essere bambini.
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A Dhaka ho incontrato i responsabili dell'organizzazione umanitaria Action Aid,
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che attraverso i programmi di adozione a distanza,
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possono garantire che
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i bambini come lui ricevano l'assistenza di cui hanno tanto bisogno.
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E non parlo solo di istruzione e cure mediche,
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ma anche di un supporto emotivo fondamentale per superare le cicatrici
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dello sfruttamento, come avviene in questo centro chiamato Happy Home,
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un rifugio per bambini di strada dove sentirsi al sicuro e poter trasformare
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finalmente le loro storie di sofferenza in racconti di speranza e rinascita.
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Se non fossi venuta qui
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ora starei sicuramente lavorando in fabbrica, oppure sarei
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a lavorare a casa di altre persone come mia madre.
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Vedo molti bambini poveri chiedere soldi per il cibo
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e questo mi fa arrabbiare molto, ma non posso farci nulla.
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Io sarei finita come loro se non fosse stato per questo posto.
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Qui posso mangiare a tutti i pasti, ma prima non era così.
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Qui ho le mie sorelle e i miei amici che mi danno da mangiare e controllano che io stia bene e mangi.
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Prima nessuno si prendeva cura di me.
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Questa casa mi fa sentire bene.
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Io ho avuto un passato terribile, spero tanto che gli altri bambini non debbano subire lo stesso.
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Spero che vengano tutti a vivere qui per stare bene come me
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e che possano studiare. Io prima non potevo
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e nemmeno i bambini che sono ancora fuori possono.
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Ho ricevuto così tanto aiuto qui
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che vorrei arrivasse anche a loro.
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Prima di ripartire...
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Sanjida, una delle responsabili di ActionAid in Bangladesh, vuole regalarmi un momento
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unico con i bambini adottati a distanza per realizzare cosa voglia dire per loro
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avere un amico lontano che gli vuole bene incondizionatamente.
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Cosa stai disegnando Meem? Cos’è questo?
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È una casa.
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E questo?
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Questa è la mia amica che mi aiuta da lontano.
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E questa chi è?
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Sono io.
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E questa?
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Mia sorella più piccola.
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Che cosa state facendo?
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Stiamo disegnando.
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Disegnando? Okay.
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Sai, questo non è un disegno.
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Questa è fiducia.
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Questo è un legame
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tra lei e la sua amica
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che vive lontano
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e che la sostiene attraverso l’adozione a distanza.
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Questi bambini hanno
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molte possibilità,
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e stanno avendo la possibilità
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di disegnare, di studiare e di andare a scuola.
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Ma sai, ci sono,
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…tu l’hai visto..
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ci sono così tanti bambini
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che non hanno quell'opportunità.
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Noi proviamo a dare uno spazio sicuro per tutti i bambini qui.
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La nostra missione con ActionAid,
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e anche la mia personale, è di non lasciare nessun bambino indietro.
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Sai, noi andiamo tutti i giorni a bussare ad ogni porta per vedere
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se ci sono bambini che hanno bisogno del nostro supporto, che hanno bisogno di noi.
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Non è accettabile che i bambini lavorino in quei posti
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che avete visto.
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Lavorano nelle fabbriche come delle macchine solo per il cibo.
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È nostra responsabilità dargli
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una vita, una vita buona e felice.
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Non so quante persone stanno guardando questo video, ma devono credere
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che con l’adozione a distanza possono cambiare le vite di questi bambini.
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Sanjida ha ragione, un adozione
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può davvero cambiare la vita, poiché non solo ricevono un supporto materiale,
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ma anche un tesoro inestimabile, la certezza di essere amati e valorizzati.
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E a questo punto la domanda più importante di questa missione
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spetta proprio a loro che cos'è la felicità?
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Cantare!
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Disegnare!
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Viaggiare!
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Giocare a calcio!
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Chiacchierare con mia madre!
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Truccarsi.
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Giocare con i palloncini!
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Girare in macchina!
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Giocare con le bambole!
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Giocare a cricket!
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Giocattoli!
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Piantare alberi!
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Cantare canzoni!
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Pizza.
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Colorare!
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Ecco come dovrebbe essere la felicità per un bambino.
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Semplice, spensierata.
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Purtroppo...
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In questo viaggio abbiamo visto che non è per tutti così
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e in fondo
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non possiamo certo illuderci di cambiare il sistema di cui questi bimbi sono vittime.
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Però tutti noi, anche se lontani, possiamo fare tantissimo per loro
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e per tanti altri bambini vittime delle stesse ingiustizie in India,
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in Cambogia, in Vietnam.
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Possiamo adottarli a distanza
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e proteggere il loro diritto a curarsi, a studiare, a mangiare, a giocare.
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Ma soprattutto possiamo restituirvi la loro infanzia,
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perché a nessun bambino dovrebbe essere negata,
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e a nessuno di loro dovrebbe essere vietato sognare.
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Adotta un bambino a distanza, cambia per sempre.