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Hai mai sentito parlare dei
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Così in Ghana sono chiamati
gli abiti di seconda mano
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Sono gli indumenti che i
paesi industrializzati scartano,
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raccolgono e spediscono verso
i paesi in via di sviluppo
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Quella che è iniziata sessant'anni fa
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come l'intuizione di un uomo d'affari
statunitense, si è trasformata
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oggi in una fonte di reddito per Accra, la capitale del Ghana
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Qui c'è il mercato di Kantamanto,
molto probabilmente
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il più esteso mercato di seconda mano del mondo,
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dove arrivano ogni settimana circa 15 milioni di capi di abbigliamento
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Sono talmente tanti che secondo
la gente del posto, solo la morte
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potrebbe portare qualcuno
a disfarsi di così tanti indumenti
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Ma dietro questo mercato si nasconde uno dei più grandi
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sistemi di produzione capitalistici:
l'industria del fast fashion
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Ma tu sei iscritto al canale di Ohga?
00:00:50
Se la risposta è no, ti aspettiamo,
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è molto importante per noi!
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Per capire dove nasce il fenomeno,
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bisogna tornare indietro
fino all'Ottocento,
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quando nascono le
prime industrie tessili
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e vengono creati i primi
abiti realizzati in serie
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Erano destinati alle donne
della classe media,
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dato che quelle più ricche
si rivolgevano
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per lo più a botteghe di sartoria
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e quelle più povere, invece
si cucivano i vestiti da sole
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L'impiego della macchina da cucire,
brevettata nel 1846,
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portò un'improvvisa velocizzazione
della produzione di indumenti,
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dando il via a un sistema
che permetteva di creare tanti vestiti
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uguali e suddivisi
per taglie generiche,
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anziché quelli fatti su misura
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L'industria della moda, però,
è andata a rilento fino agli anni ‘50
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È stato allora che i giovani,
forse per opporsi
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alle abitudini dei genitori,
iniziarono a desiderare abiti nuovi
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e non più i vestiti rimaneggiati
dei loro fratelli più grandi
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È proprio in questo periodo
che nascono i primi negozietti,
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quelli che poi sono diventati
i grandi marchi che conosciamo
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Ma il termine fast fashion
farà la sua comparsa
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solo il 31 dicembre 1989
in un articolo del New York Times,
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In occasione dell'apertura
di un nuovo store di una nota catena
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il magazine coniò infatti
questo termine,
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per descrivere una grande novità:
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ora ci volevano solo
15 giorni tra l'ideazione
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di una linea di vestiti e l'arrivo
della collezione in negozio
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Una cosa che magari
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ora ci sembra scontata,
ma all'epoca era una rivoluzione
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Letteralmente fast fashion
significa “moda veloce”:
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è un modello di produzione che permette alle aziende di progettare,
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realizzare e distribuire
in tempi molto brevi
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una grande quantità di vestiti
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Copiando gli ultimi
stili delle passerelle,
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queste imprese ripropongono
modelli a prezzi accessibili
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per il grande pubblico che altrimenti non potrebbe permetterseli
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Oltre alla produzione, però, la velocità nel fast fashion fa riferimento
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anche alla facilità
con cui si sostituiscono i vestiti
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I prodotti sono, infatti,
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progettati con l'intenzione
di durare solo circa 10 lavaggi
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Tenendo conto di questo,
i designer si concentrano
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sulla realizzazione di
tanti articoli di tendenza,
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senza prestare troppa
attenzione alla qualità del tessuto,
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il che consente di mantenere i
prezzi dei prodotti molto bassi
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e di promuovere un continuo ricambio,
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tipico di un atteggiamento
“usa e getta”
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Insomma, poco importa se una camicetta non ci convince del tutto
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La compriamo, tanto costa poco
e se non la mettiamo
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non dobbiamo sentirci in colpa
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perché non ci abbiamo
perso granché
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Tuttavia dietro quella camicetta
c'è molto di più
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Ti sei mai chiesto come mai
nella maggior parte delle etichette
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c'è scritto: “Made in Bangladesh” ?
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È proprio in paesi come
India, Bangladesh,
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Pakistan o Cina, che per mantenere alti profitti e bassi i costi,
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i marchi negli anni hanno iniziato a spostare la produzione
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Qui infatti c'è grandissima
disponibilità di
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manodopera a basso costo, tant'è che le locali fabbriche produttrici di
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abbigliamento competono tra loro
in una corsa verso il basso
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Migliaia di uomini, donne e bambini,
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provenienti nella
maggior parte dei casi
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dalle aree più rurali,
vengono convinti a lavorare
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nelle fabbriche con la promessa
di un lavoro ben retribuito,
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un alloggio confortevole
e tre pasti nutrienti al giorno
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La realtà però è ben diversa:
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lavorano in condizioni spaventose,
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non sicure a causa delle sostanze chimiche impiegate,
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con orari massacranti e
salari bassissimi
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L'industria della moda
ha poi anche un enorme impatto
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sull'ambiente: produce circa
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un numero gigantesco ma che si spiega con il fatto che l'industria
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tessile richiede
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di sostanze
chimiche all'anno,
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compreso il petrolio, più o meno
342 milioni di barili ogni anno,
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per produrre fibre sintetiche,
fertilizzanti per coltivare il cotone
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e prodotti chimici per produrre,
tingere e rifinire fibre e tessuti
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Per non parlare poi dell'enorme
consumo di acqua
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Tutta la filiera produttiva di vestiti,
compresa la coltivazione del cotone,
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utilizza infatti circa
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di acqua all'anno, contribuendo ad aggravare ulteriormente i problemi
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in alcune regioni con
scarsità d'acqua
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Ma non solo, l'utilizzo di tintura
e il trattamento dei tessuti causa
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il 20% dell'inquinamento
idrico industriale a livello globale
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E per non farsi mancare nulla
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negli ultimi anni l'industria
tessile è stata identificata
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come uno dei principali contributori
al problema della plastica
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che entra nell'oceano
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di micro fibre di plastica
vengono, infatti,
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disperse durante il lavaggio di tessuti
a base di plastica, come poliestere,
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nylon o acrilico,
finendo ogni anno nell'oceano
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Arrivato a questo punto ti starai chiedendo come è possibile
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che tutto questo avvenga
in maniera impunita
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Semplicemente i grandi marchi hanno delle catene di fornitura
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talmente vaste e dislocate,
in decine di paesi del mondo,
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che è quasi impossibile
tracciarle rigorosamente
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Il risultato è una distribuzione disomogenea
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delle conseguenze ambientali
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I paesi in via di sviluppo,
infatti, essendo il centro produttivo
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di gran parte dell'abbigliamento,
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subiscono i peggiori effetti ambientali,
al contrario dei paesi sviluppati,
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che però sono quelli che consumano
la maggior parte dei prodotti
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Insomma, la domanda di vestiti
dei consumatori occidentali
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svantaggia i paesi più vulnerabili
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Purtroppo la traiettoria
che sta prendendo il settore
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della moda fast fashion ha esiti
potenzialmente catastrofici
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La domanda di abbigliamento
continua a crescere rapidamente:
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dal 2000 al 2015 la produzione
di abbigliamento
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è quasi raddoppiata
e le vendite totali di abbigliamento
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potrebbero raggiungere
i 160 milioni di tonnellate nel 2050
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Non sono stime incoraggianti
si pensi che solo meno dell'1%
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del materiale utilizzato
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per produrre abbigliamento
viene riciclato in nuovi vestiti
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Pensa che ogni secondo,
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l'equivalente di un camion della spazzatura carico di vestiti
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viene bruciato o
seppellito in discarica
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Anche in paesi con alti
tassi di raccolta per il riutilizzo,
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come la Germania,
che raccoglie
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i vestiti vengono esportati
in “mercati di salvataggio”,
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come appunto il Ghana,
dove purtroppo,
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a causa della pessima
qualità dei prodotti,
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il 40% della merce è inutilizzabile
e finisce direttamente in discarica
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Rendendo di fatto inutili
tutti gli sforzi
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Oggi, purtroppo, ad accendere i riflettori internazionali
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sugli impatti sociali e ambientali collegati all'industria
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dell'abbigliamento sono quasi solo gli incidenti e i casi di cronaca
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Un esempio è il disastro
del Rana Plaza, nel 2013,
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quando un edificio di otto piani del Bangladesh
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ha subito un cedimento
strutturale dovuto al peso
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dei numerosi macchinari tessili,
uccidendo oltre 1000 lavoratori
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Proprio per questo le istituzioni
stanno chiedendo
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ai grandi brand dell'industria
del fast fashion
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di allontanarsi dal sistema
lineare in cui sono imprigionati,
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spronandoli a cercare i materiali
rinnovabili o riciclati per produrre
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abiti, che possano essere quindi
riutilizzati per un lungo periodo,
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contrastando così
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un sistema che inquina l'ambiente
e aumenta le disuguaglianze sociali
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Fortunatamente, la risposta soprattutto dalle generazioni più giovani,
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non si è fatta attendere
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Il mercato della seconda
mano rappresenta già
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dell'abbigliamento,
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delle calzature e degli accessori
e si prevede che crescerà del 127%
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entro il 2026, ovvero tre
volte più velocemente
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del mercato globale dell'abbigliamento in generale
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Solo osando cambiare,
non solo il look,
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ma anche le nostre abitudini,
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riflettendo sulle nostre
responsabilità sociali
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e prendendo consapevolezza
sugli effetti ambientali,
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possiamo trasformare il settore
e creare un nuovo equilibrio
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tra le comunità di tutto il mondo